IL SECCO «NO» DI XI JINPING AL DIALOGO MILITARE TRA USA E CINA

Una brusca battuta d’arresto interrompe le prove generali di un disgelo tra Washington e Pechino. La Cina ha respinto con durezza la proposta americana di un incontro fra i due ministri della Difesa, ai margini di un summit multilaterale che si terrà a Singapore in questo weekend. Xi Jinping decide così di prolungare la sua ritorsione, scattata dopo l’incidente del pallone-spia cinese intercettato sui cieli americani e poi abbattuto.

I rapporti tra le due superpotenze rimangono quindi improntati alla tensione, e quel che è peggio, alla mancanza di comunicazioni tra vertici militari. A differenza della prima guerra fredda Usa-Urss quando esisteva il celebre “telefono rosso” tra Cremlino e Casa Bianca, oggi si teme che l’assenza di procedure di consultazione di emergenza possa rendere più difficile impedire crisi improvvise.

La vicenda del pallone-spia risale a febbraio ma evidentemente rimane una ferita aperta. Lungi dallo scusarsi per quell’operazione di spionaggio, lungi dal ridimensionarla come un incidente tutto sommato banale (tutti spiano tutti, ogni tanto qualcuno viene beccato in flagranza), la Cina decise di trattare l’intercettazione e l’abbattimento del pallone-spia come un oltraggio, una provocazione, una prova dell’ostilità americana. La versione ufficiale di Pechino continuò e continua a sostenere che si trattava di un velivolo gestito da una società privata a scopi di osservazione meteo e studi atmosferici. Essendosi ingabbiata da sola in questa versione, che non lasciava spazio a manovre diplomatiche di de-escalation dell’incidente, la Cina ha descritto se stessa come la parte offesa e non si sposta di un millimetro. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, cancellò una sua visita a Pechino. I cinesi per parte lora sospesero ogni consultazione bilaterale, anche tra militari. Una situazione pericolosa perché i canali di comunicazione tra i ministeri della Difesa delle superpotenze possono servire a prevenire incidenti, imprevisti e incomprensioni suscettibili di degenerare in conflitti.

Un cauto ottimismo sulla ripresa dei rapporti bilaterali si era diffuso nelle ultime due settimane. Un primo incontro ad alto livello si era tenuto a Vienna, tra il National Security Adviser della Casa Bianca, Jake Sullivan, e la sua controparte cinese. Poi c’era stata una riunione a Washington tra due delegazioni governative sul commercio estero, guidate rispettivamente da Gina Raimondo e Wang Wentao.

Il terzo episodio del disgelo, secondo gli auspici americani, doveva avvenire appunto questo weekend a Singapore ai margini di un summit sulla sicurezza nel sud-est asiatico, fra il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin e l’equivalente ministro cinese Li Shangfu. Sarebbe stata anche l’occasione per delle presentazioni, visto che Li è stato nominato solo di recente. Austin aveva indirizzato una lettera a Li per proporgli l’appuntamento a Singapore.

Ma l’incontro è stato respinto e i termini del rifiuto cinese sono duri. La dichiarazione del portavoce dell’ambasciata cinese a Washington recita così: «Gli Stati Uniti cercano di opprimere la Cina con ogni mezzo possibile, e continuano a imporre sanzioni contro dirigenti, istituzioni e aziende cinesi. Quale sincerità e quale significato può esserci in queste comunicazioni?» Il Pentagono da parte sua ha rilasciato questo comunicato: «Il Dipartimento della Difesa crede fortemente all’importanza di mantenere aperte linee di comunicazione militari fra Washington e Pechino per assicurare che la competizione non si trasformi in conflitto».

Guido Santevecchi ha raccontato su questo sito che nei giorni scorsi il nuovo ambasciatore cinese (di fresca nomina anche lui) Xie Feng ha scelto di fare la sua prima “gita fuori Washington” a casa di Henry Kissinger nel Connecticut. Per adesso gli inviti al dialogo e al compromesso rivolti dal centenario ex-segretario di Stato sembrano caduti nel vuoto.

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