CARLOTTA FUNARI: «MIO PAPà GIANFRANCO? IN STRADA TRA LA GENTE SEMBRAVA IL PAPA, MA TROPPI INTORNO A LUI GLI DICEVANO SEMPRE Sì»

«Papà aveva una Mehari, una “spiaggina”, con cui scendeva al mare per le stradine strette di Loano, in Liguria, guidando a rotta di collo. Spericolato, sbatteva il parafango contro il muro, a destra e a sinistra, ridendo forte, si divertiva così. Era un ragazzino mai cresciuto. Al mattino, appena sveglio, spalancava le finestre e chiamava a gran voce i suoi due cani: “Cesareee! Pupaaaa!”. O la gatta: “Giuliettaaaa!”, lo sentiva tutto il paese». Carlotta Funari, 61 anni, lavora al montaggio per cinema e tv («Senza nessuna raccomandazione»). Ed è l’unica figlia di Gianfranco, cabarettista e polemista («Se uno è stro..o nun je posso dìstupidino»), giornalista (« Sòil giornalaio più famoso d’Italia»), conduttore (« Damme la due!») , tribuno del popolo («Del potere ho mostrato le mutande»), testimonial nostrano («Che mortadella rigà») e anche un po’ filosofo del quotidiano («Nel mio cammino ho calpestato parecchie mer..cce e non mi son mai pulito le scarpe»). Insomma quello. Scomparso il 12 luglio del 2008, a 76 anni. Sfrontato e irruento lui, riservata e schiva lei.

Il ricordo più lontano. «Una passeggiata sul lungotevere, io e lui, avevo un anno e già camminavo. Era espansivo ma introverso, a tratti distaccato. Non ancora famoso, faceva il rappresentante della Manetti & Roberts, i miei si erano separati già da cinque mesi, io ero la figlia nascosta di un matrimonio finito presto».

Due caratteri forti. «Mia madre Annamaria — vendeva cosmetici anche lei, si erano conosciuti così — era una tipa tosta. Una donna libera, fuori dagli schemi. Una volta, quando ancora vivevano insieme, lui le telefonò: “Cara, butta la pasta!”. E lei gliela gettò dal balcone. Molto simili, troppo, papà invece aveva bisogno di qualcuno che lo assecondasse, che gli stesse dietro».

Era molto assente. «Fino a 7 anni non l’ho più rivisto. Nella mia testa di bambina mi sentivo una figlia non voluta, ci ho sofferto. Col tempo ho capito che non era così. Ci siamo riavvicinati grazie ai nonni. E ha compreso anche lui di aver sacrificato tanto, troppo, per il lavoro, credo se ne sia pentito, anzi ne sono sicura».

Lo guardava in tv. «Mi dicevano: “Corri Carlotta, c’è papà”. Ma io pensavo soltanto che lui era lì e non insieme a me. Con i compagni di scuola mi sentivo a disagio, avevo un padre famoso che non vedevo mai. Ai tempi faceva Aboccaperta su Lo conoscevano tutti, io no, anche se ci somigliavo tanto, ero la sua fotocopia. Lo ammiravo, ero orgogliosa di lui. Però...».

Però? «A volte preferivo non dire che ero la figlia di Funari, raccontavo che papà era solo uno con lo stesso cognome. Mi è mancato moltissimo, ci ho lavorato tutta una vita per colmare quel vuoto».

Un indomabile. «Istrionico, esagerato, aveva il bisogno irrefrenabile di esprimere i suoi pensieri, libertà che ha pagato cara».

Severo non credo. «Mai stato, era un bambinone, un Peter Pan. Mi suonava le sue canzoni alla chitarra. Ricordo una gita in barca per fare il bagno al largo, aveva preparato pure la pasta fredda per pranzo».

Rancore ne ha provato per la lontananza forzata? «Il rancore è un sentimento che non mi appartiene, ero dispiaciuta sì».

Col tempo vi siete avvicinati di più. «Anche quando non riuscivo a sentirlo vicino, ho provato sempre un grande amore per lui. Crescendo, sono riuscita a vedere il suo lato più umano, fragile. In televisione mostrava grande forza, ma aveva le sue debolezze, si sentiva solo, credo gli siano mancati punti di riferimento. Era un uomo di sentimenti, però li nascondeva. Ha evitato rapporti troppo profondi , ne aveva paura e d’istinto scappava. Sono come lui».

Complicato. «Difficile. Abituato ad avere intorno persone che accettavano qualunque cosa facesse o dicesse, senza provare nemmeno a contraddirlo. Chi ti vuole bene invece ti fa notare quando sbagli. Lui non accettava critiche o suggerimenti, sfidava la vita di petto».

Diventò un vero padre. «Intorno ai miei trent’anni ho passato un periodo difficile. Lui mi ha accolto e mi ha anche aiutato economicamente. Ho finalmente avvertito che c’era davvero, per me. “Hai bisogno di sentirti protetta”. E mi ci sono sentita. Abitavo al quinto piano, senza ascensore. Lui, pigro da morire, ogni sera si faceva le scale per venirmi a trovare. Mi portava qualcosa che aveva cucinato, le sigarette. “Ma com’è che siamo così uguali, io e te?”, mi chiedeva. Ed è vero, anche se non abbiamo mai vissuto insieme».

Tre aggettivi per lui. «Simpaticissimo, ci siamo fatti certe matte risate. Non sapeva dire le bugie, lo scoprivi subito. Generoso. E molto fanatico, ci teneva moltissimo al suo aspetto. “Menomale che non sono nato donna”. Ma ne ha combinate lo stesso di tutti i colori».

Un piacione nato. «Mi portava a prendere il gelato allo Zodiaco, in cima a Monte Mario, dove aveva conosciuto mamma. O al bar del tennis al Foro Italico. E davanti a me faceva il galante con le donne, gli piacevano molto e non lo nascondeva».

La gente lo amava. «Andare in giro con lui era come uscire a braccetto con il Papa. Si fermava con tutti, un incubo, la passeggiata non finiva mai. Ogni tanto mi lamentavo, però era divertente. Parlava con chiunque, si metteva a tu per tu, con il cuore».

E spesso col portafoglio. «Ha fatto molta beneficenza, ho trovato tantissime lettere di persone che lo ringraziavano, si dedicava a chi aveva più bisogno».

L’avrebbe voluta in tv? «Ci ha provato a coinvolgermi, non era per me. Ogni tanto ho seguito qualche sua trasmissione dallo studio, ma dietro le quinte. Una volta mi ha trascinato nel pubblico e mi ha presentata come sua figlia, io mi vergognavo da morire e sarei scappata, ma lui mi teneva ferma con il braccio, felicissimo di potermi mostrare ai suoi spettatori».

Avete mai litigato? «No. Era fiero di me e della strada che avevo fatto da sola, nonostante tutto, senza un vero padre, per tanto tempo».

Quello che le è mancato. «Lui. Per tanti era un personaggio famoso, per me soltanto un genitore. Si è scusato tante volte per non esserci stato quando ero piccola. Per le insicurezze che mi portavo dietro a causa della sua assenza. La poca fiducia in me stessa. Era un rimorso costante».

Quello che le resta. «Mi ha insegnato ad essere libera. A dire quello che penso, senza paura dei giudizi. Lui non poteva farne a meno, anche se alla fine ci ha rimesso. Quando lo hanno allontanato dal video ha sofferto moltissimo, la tv era la sua vita, invece è stato messo ai margini. Era triste, stanco, si è sentito rifiutato. Per il lavoro ha rinunciato a tutto e ci sono cose che non tornano più».

Ricoverato d’urgenza. «Si sentì male di notte, corsi a casa sua, arrivò pure mia madre. “Gianfrà, per favore, non mi lasciare una seconda volta”. Era grave, stava per morire, il cardiologo disse che era sotto infarto».

Quattro bypass. «E persino in quel momento papà ha fatto comunque il suo spettacolo. “Datemi il mio cappotto, prendete il cappello!”. È uscito in barella, ma vestito da signore. “E adesso quello che sarà, sarà”. Faceva lo spavaldo, si mostrava forte come un leone, ma secondo me aveva paura».

Ci teneva al suo aspetto. «Era vanitoso, gli piaceva ricevere complimenti, sempre elegante, stra-profumato, in bagno avrà avuto cinquanta boccette, una star».

L’ultimo ricordo. «In ospedale, purtroppo. Stava in coma. Mi hanno avvisato tardi, sono arrivata che era già incosciente, avrei voluto parlarci. Ripetergli ancora: “Ti voglio bene”. Non che non glielo avessi mai detto, ma aveva bisogno di sentirselo ripetere ancora una volta».

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