DUE FEMMINICIDI IN UN GIORNO: LE STORIE CHE FINISCONO PER ESSERE DIMENTICATE. GIà FINITO L’EFFETTO CECCHETTIN?

Sabato 16 marzo sono stati commessi due femminicidi in Italia, due delitti nello stesso giorno: Aneta Danelczyk, polacca residente in Italia, uccisa a coltellate dal marito, Albano Galati, in un paese del Salento. E Li Xuemei, cinese residente a Roma, nel quartiere del Quadrato, ammazzata anche lei a coltellate dal marito Yu Yang. Tutte e due aggredite e uccise davanti ai loro figli minorenni. Due straniere che vivevano in Italia. Di cui sappiamo i nomi, ma non conosciamo i volti: niente profili social, niente foto da pubblicare, Aneta e Li restano due sagome, due nomi di vittime dentro articoli di cronaca nera che conquistano, sì, un giusto spazio d’importanza nella gerarchia delle notizie online. Ma poi, nell’arco della giornata, queste sono notizie che «scendono», calano nell’ordine delle news e nell’interesse dei lettori. È la legge dello scroll, ma non solo.

Il lettore/lettrice medio vede il titolo della notizia, sospira, pensa: «Accidenti, eccone un’altra ammazzata!». Ma poi, quanti «cliccheranno» per leggere l’articolo? Pochi. Senza un volto, le storie Aneta e Li diventano storie come tante. Che in breve tempo saranno dimenticate. E poi sì, purtroppo esiste anche «un’estetica» della morte che ci spinge a conoscere meglio le protagoniste delle storie. Qui, invece, solo foto generiche di poliziotti che entrano dentro anonimi condomini. Senza volto e pure straniere. Anche se, nei fatti, Aneta e Li avrebbero potuto essere le nostre vicine di casa. Le dinamiche della cronaca, poi, sono simili: stavano per separarsi… Lui non voleva… Uccisa davanti ai figli… Infine il coltello, l’arma più facile da reperire in casa. Titolo e sommario, letti. Niente foto, straniere. Quindi, scroll: si può passare a un’altra notizia. Non è cinismo, è una sorta di assuefazione all’orrore quando questo si ripete uguale a se stesso, quando non ci offre dettagli che catturino la nostra attenzione e facciano scattare un coinvolgimento emotivo.

Sono passati pochi mesi da quando i delitti di Giulia Tramontano, uccisa incinta all’ottavo mese dal fidanzato, e di Giulia Cecchettin, 22 anni, uccisa dal ragazzo che non si rassegnava al fatto di essere ex, hanno «catalizzato la coscienza collettiva» come scriveva Elena Tebano pochi giorni fa. Perché Giulia Cecchettin, soprattutto, «è una delle nostre figlie, sorelle, amiche». E lui, in fondo, un «ragazzo che sembrava normale». Quei delitti, ricordiamolo, hanno portato anche a delle modifiche di legge. Forse ora siamo tornati a un livello di coscienza collettiva leggermente più bassino. Come assopito. L’effetto Cecchettin è già passato? Non abbiamo sentito rumore di chiavi o fischietti adesso.

Eppure, dall’inizio del 2024 sono 17 le donne uccise «in ambito familiare o affettivo» seguendo la definizione del report settimanale del Ministero dell’Interno, donne che avevano una qualche relazione intima con la vittima. Di queste, 10 sono state uccise dal compagno o ex, altre dal figlio, dal fidanzato della sorella, dal conoscente con cui, forse, avevano rapporti sessuali. La giurisprudenza, gli esperti, le associazioni dibattono se tutti questi crimini meritino o meno l’etichetta di «femminicidio». Le vittime vivevano in una qualche situazione di violenza, nelle sue varie forme? Qual era l’effettiva relazione tra loro? Ma questo è un altro problema (non da poco). Il tema adesso è: quanto ci sentiamo coinvolti?

Quello che resta, che deve avere un valore, e che anche le storie di Aneta e Li ci riguardano. Che la tragedia immensa di figli piccoli che restano orfani e vittime a loro volta di un trauma cronico (si, si chiama così) ci riguarda. Che la violenza esercitata dai loro assassini, pur nella diversità delle situazioni, ci riguarda, perché è figlia di una cultura del possesso ancora dominante ed qualcosa di cui la società tutta deve farsi carico, sentirsi responsabile. Non aspettiamo la prossima vittima per fare rumore.

2024-03-18T17:41:40Z dg43tfdfdgfd