GABRIELE MARCHESI, IL GIOVANE INDAGATO CON ILARIA SALIS, NON SARà ESTRADATO: «POSSO USCIRE? SONO CONTENTO»

«Ma siamo sicuri che posso uscire, o me ne devo stare ancora a casa?». Frastornato, quasi incredulo di poter riacquistare la libertà dopo 129 giorni trascorsi ai domiciliari in forza di un mandato di arresto europeo. Nel giorno in cui Budapest nega la scarcerazione a Ilaria Salis, il 23enne di Milano Gabriele Marchesi è tornato a piede libero, evitando il trasferimento in carcere nel Paese di Orbán. I giudici della Corte d’Appello hanno respinto la richiesta di estradizione formulata dalle autorità ungheresi nei confronti del giovane lombardo accusato di aver preso parte all’aggressione contro alcuni neonazisti a febbraio 2023: la stessa contestazione mossa a Salis.

I magistrati, nella decisione, si sono soffermati sulla «sproporzione» tra la pena e il fatto, e sul rischio che l’indagato avrebbe potuto subire un trattamento «degradante». Dopo la lettura del dispositivo, il 23enne attivo nei movimenti antagonisti milanesi si è affrettato a uscire da Palazzo di giustizia senza spendere una parola, se non un «sono contento» appena sussurrato. Diretto a casa, come se non fosse cambiato nulla: «Aspettiamo la notifica degli atti», è stato l’accordo con il suo legale, il difensore Mauro Straini.

Ilaria Salis, notizie e approfondimenti

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Fuori da Palazzo di giustizia, un gruppo di manifestanti — una quarantina circa — ha intonato cori a sostegno dopo la notizia. Ma erano sorrisi a metà, viste le novità di segno opposto arrivate da Budapest. A dire «no» all’estradizione di Marchesi è stato, sin dall’inizio della vicenda giudiziaria, lo stesso sostituto procuratore generale Cuno Tarfusser, che ieri ha ribadito la «sproporzionalità» della pena prevista — da 2 a 24 anni — per un’aggressione che, per le vittime, ha portato a pochi giorni di prognosi. I giudici hanno accolto, sottolineando che la «carcerazione» preventiva in Ungheria sarebbe potuta durare, in base alla legge locale, «sino a tre anni» e ciò avrebbe potuto comportare «seri pregiudizi alla vita» del giovane.

Sempre da quanto emerge nel provvedimento, sussisterebbero rischi «reali e fondati» di «privazione dei diritti fondamentali». I giudici citano alcuni casi trattati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, dai quali emergono «le condizioni dei diversi istituti penitenziari ungheresi», con «rilevanti carenze nei servizi essenziali», soprattutto dal punto di vista igienico. Non sono state fornite indicazioni dagli ungheresi su possibili alternative alla detenzione in carcere, come «i domiciliari nel Paese di residenza». E inoltre, visto il reato di cui è accusato, il ragazzo «potrebbe essere percepito» all’interno del carcere «come parte di una minoranza d’opinione interessata da conflittualità particolarmente intense». In altre parole, avrebbe potuto essere bollato come un nemico politico, e subire gravi ritorsioni dagli altri detenuti.

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