IERVOLINO, SALERNITANA VERSO LA SERIE B: «CALCIATORI STRAPAGATI, NON è MAI COLPA LORO. ESONERI? HO SBAGLIATO ANCHE IO»

Gli uffici della sua holding, a pochi passi dal Foro Romano nel cuore della Capitale, sono un punto d’orgoglio. Soffitti affrescati e statue di marmo, il palazzo romano di Danilo Iervolino, 45 anni, presidente della Salernitana, manda anche un chiaro messaggio a chi ancora fa fatica ad inquadrarlo: l’imprenditore proveniente da Palma Campania, in provincia di Napoli, quasi sconosciuto prima della vendita miliardaria dell’Università telematica Pegaso, ora è una presenza importante sulla scena nazionale. E non è solo di calcio che parliamo, anche se è proprio il calcio «a mandarmi il cuore in gola».

Presidente, è una frase da tifoso questa? «L’ho mutuata dal mio amico e socio Flavio Briatore. Il calcio è una esperienza stimolante. È assorbente, totalizzante. Se va male una partita resto inabile per un giorno. Fin quando resisterò... gli ultimi mesi mi hanno toccato».

Sta pensando di lasciare? «Ancora no, però non si può mai dire. Se fosse per il bene dell’azienda farei un passo indietro. Sono già arrivate telefonate ai miei manager, per ora non se ne parla. La Salernitana sta vivendo una stagione pessima ma questo è il momento di restare in sella».

Lei, napoletano, all’inizio era visto come tifoso del Napoli. «Lo ero, certo. Ho vissuto allo stadio gli anni di Maradona, ma è un po’ come quando sei innamoratissimo di una donna, poi all’improvviso ne incontri un’altra e perdi la testa. La piazza di Salerno mi ha dato emotivamente tanto. Sono stato per tre anni il presidente più amato. Non avevo messo in conto di vivere una stagione come questa, né di ritrovarmi a spiegare ai miei figli il perché delle minacce, le offese e degli attacchi social che ho subito negli ultimi mesi. Ho fatto anche io tanti errori: quattro allenatori in pochi mesi sono il frutto di scelte non lucide, per dare una risposta a una piazza che vede il presidente di calcio come il sacerdote di una setta: devi individuare il colpevole. Dovevo fidarmi del mio intuito, non essere condizionabile ed essere più presente».

Ha messo in conto di retrocedere, evidentemente. «Certo, anche se l’aritmetica ci tiene ancora in gioco. Mi sto guardando attorno, voglio riflettere bene. E le assicuro che ci sarà una rivoluzione. La categoria è differente e farò scelte in funzione di un progetto sano».

Il calcio, invece, finora non cambia, lo ha definito malato. «Non però nell’accezione negativa, non è marcio. Vive un disagio rispetto alla contemporaneità dell’economia. Può cambiarlo in autonomia la Lega, la Federazione, che si sta muovendo, ma manca il sussulto di orgoglio dei club. L’industria del calcio vive una tranquilla rassegnazione nel non muovere nulla, questo mi spaventa. C’è la necessità di cambiare, ed è un sentimento diffuso, però poi non si fa nulla. Basterebbe un tratto di penna: le regole. Rispetto a quanto incassi non puoi spendere un euro in più, come in Germania. Andrebbe rivista la contrattualistica di calciatori e agenti: dove sta scritto che un giocatore che è un dipendente ha solo diritti e non doveri? Sono strapagati e se le loro prestazioni non sono al’altezza, la colpa è sempre degli altri. Abbiamo miliardi di debiti in tutto il sistema, così il calcio muore».

Si sente solo in questa battaglia? «Mi sento sempre solo, sono un dissidente e quindi anche un po’ rivoluzionario. Non ho paura di sbagliare, né di fallire. Ho amici nel calcio, presidenti con cui mi confronto, modelli di società a cui mi ispiro».

Qualche nome. «L’Atalanta da piccola è diventata grande, il Torino di Cairo dimostra che si possono raggiungere risultati importanti senza dopare la crescita, ma farlo mattoncino su mattoncino. De Laurentiis è un imprenditore con visioni moderne, il Napoli è l’esempio del virtuosismo».

Sousa, Inzaghi, Liverani e adesso Colantuono, senza considerare l’esonero di Nicola la passata stagione. Non era evidentemente tutta colpa loro. «A Nicola ho fatto un grande torto, inutile girarci attorno, è il mio cruccio. Sousa è il migliore tecnico che abbia mai incontrato, intelligentissimo. Ma quest’anno ambiva a qualcosa di più importante, ci siamo anche dati un momento per riflettere, lui parlò con il Napoli, poi è tornato ma non era abbastanza motivato. Inzaghi è un rimpianto, grande persona. Il calcio ha bisogno di figure come lui: potevo riprenderlo ma avrei fatto un altro errore. Liverani lo ha voluto Sabatini, ma non si sono innescati i meccanismi. Colantuono ama Salerno, è con noi da tempo».

Sabatini che scelta è stata? «Uomo di esperienza riconosciuta ma il suo stato di salute non gli ha consentito di essere presente, e quindi non ha portato quello che mi auguravo, quando è arrivato eravamo a 3 punti dalla zona salvezza».

L’anno prossimo si cambia, dunque. «Sceglierò uomini di mondo e meno di calcio che sono troppo autoreferenziali. Invece io voglio i giovani, voglio sperimentare. Se mi piace un allenatore di serie D che ritengo bravo lo porto. Basta con i nomi, non sono questi che danno credibilità al progetto. Non sono entrato nel calcio per avere visibilità, non ne avevo bisogno».

Ha portato Petrucci nel cda. «Gianni è un amico, mio consigliere anche personale, è saggezza ed esperienza».

È stato chiamato in causa nella vicenda del dossieraggio, avrebbe preso la Salernitana per rapporti pregressi con il presidente Gravina. «Ho conosciuto Gravina nel momento in cui ho preso il club, sulla vicenda fa ridere che ancora oggi non si riesca a tenere sotto controllo l’accesso ai software».

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