IL DUCE NON CAPIVA DI ARTE PAROLA DI MARGHERITA SARFATTI

Caro Aldo, per fortuna la scure della damnatio memoriae non è riuscita a incidere su un capitolo dell’arte italiana tra i più prolifici e creativi, andrò a vedere la mostra a Rovereto. Maria Brambilla Vedo nella bella mostra di Rovereto l’ennesimo tentativo di riabilitare il fascismo. Anche gli Stati totalitari hanno opere ciclopiche nel tentativo di imporre al popolo il superego del dittatore di turno. Stefano Esposito

Cari lettori, Ci mancherebbe altro che non si possa fare e vedere una mostra. In tanti andremo a Rovereto a visitare la mostra sull’arte al tempo del fascismo, certi di vedere opere molto belle. Tuttavia, non le ha dipinte o scolpite o pensate Benito Mussolini. A Mussolini dell’arte non importava nulla, e nulla ci capiva. La sua demiurga, Margherita Sarfatti, non se ne faceva una ragione, e per tutta la vita insistette con l’uomo che amava affinché affinasse il proprio gusto. Mussolini aveva in casa croste post-romantiche, quadri veristi, ritratti di stile accademico e passatista. Quando la Sarfatti vide la modestia della collezione, gli scrisse una lettera di fuoco: «Avresti potuto ricordarti che, quando si è a capo del governo, le proprie espansioni ammirative devono essere dettate da criteri meno personali e più severi». Tradotto: anche di arte il Duce non capiva molto. Non amava neppure gli artisti di Novecento, il gruppo della Sarfatti, Achille Funi, Leonardo Dudreville, Ubaldo Oppi: «Quelle manone, quei piedoni...» diceva Mussolini osservandone le tele con una smorfia di disgusto. Poi certo il Duce conosceva l’arte della propaganda, e non gli dispiaceva né erigere palazzi monumentali, magari sventrando antichi quartieri, né vedere statue e dipinti e murali in cui i volti somigliassero il più possibile al suo. Ma un po’ tutti i critici, a cominciare da Vittorio Sgarbi che ha voluto la mostra al Mart, concordano sul fatto che il futurismo aveva già dato il meglio di sé ben prima della marcia su Roma. Il più grande artista futurista, Umberto Boccioni, muore nel 1916, cadendo da cavallo nelle retrovie della Grande Guerra, «per amorosa vanità», come scrisse la Sarfatti. Sarebbe probabilmente stato fascista. Ma con il fascismo non c’entra nulla.

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