LASCIAMI ANDARE: BEATO ANGELICO E LA PIù BELLA METAFORA DELL’AMORE NELL’ARTE

Di tutte le rappresentazioni pittoriche della Pasqua, forse il Noli me tangere è una delle più suggestive e affascinanti. La locuzione latina, tradotta dal greco, si trova nel Vangelo di Giovanni e contiene infinite sfumature di senso. Da «non toccarmi» a «non trattenermi», quindi «lasciami andare». La raffigurazione del Beato Angelico (1440 circa) nel convento fiorentino di San Marco è una delle più famose e riassume bene l’episodio evangelico: la domenica successiva alla Crocifissione, mentre Pietro e Giovanni vanno al vedere la tomba vuota di Gesù, Maria Maddalena resta nel giardino. I discepoli vanno a verificare, la donna si ferma ad ascoltare. Più che dalla tomba scoperchiata — elemento concreto, tangibile — lei è attratta da qualcosa che non si può né vedere né toccare con mano, come invece chiede Tommaso. La donna comprende che la verità non risiede nella misurazione dell’esattezza dei dettagli, quanto nell’intimo sentire ed è proprio questo atto di fede che la porta a vedere il Cristo risorto in quella figura con la zappa in mano, del tutto simile al custode del luogo.

Beato Angelico, Noli me tangere, 1440-42

L’emozione di Maria Maddalena è fortissima: lei capisce, si sente colma di gioia e istintivamente si protende verso l’uomo con le braccia, con le mani, con tutto il corpo. Non vuole verificare la sua identità, vuole soltanto abbracciarlo con amore, ma Gesù la ferma con un gesto preciso della mano, congelando la scena in uno spazio invisibile e magnetico: «Noli me tangere», non mi toccare. Ecco la differenza con Tommaso: l’apostolo non crede alla presenza di Cristo, ha bisogno di toccare le ferite nel costato. Gesù glielo concede, ma lo avverte: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno». Beati quelli che sanno abitare la distanza, perché questa è la chiave per comprendere l’amore. È proprio l’attitudine di fermarsi a contemplare la presenza dell’altro — mai del tutto raggiungibile — che ci rende capaci di amare.

Tiziano, Noli me tangere, 1511 ca

Il contrario di quello che ci induce a credere l’epoca in cui viviamo, nella quale tutto si fonda sul meccanismo del desiderio e del successivo appiattimento nel bisogno esaudito: voglio un indumento prodotto nell’altra parte del mondo e lo voglio domani mattina. Voglio vedere un film e voglio farlo in questo momento. Voglio una donna e la voglio possedere ora, nella sua interezza. Mi innamoro di qualcuno e pretendo di controllare tutto di lui, dai messaggi sul cellulare ai dettagli della sua vita passata. D’altronde, come ragionava lo psicoanalista James Hillman, siamo «figli del mondo dell’evidenza». Non sopportiamo le mezze verità né le omissioni, anzi viviamo ogni forma di rarefazione del vero come un delitto. Abitiamo l’illusione che l’amore sia il mero raggiungimento della fusione con qualcuno o con qualcosa, che il desiderio sia meccanicamente la sua realizzazione e così facendo ci perdiamo la poesia della pura contemplazione di qualcuno o di qualcosa, l’incanto della distanza, il coraggio dell’assenza. Del passo indietro, del possesso impossibile.

Rembrandt, Noli me tangere, 1651

«Noli me tangere», dice Cristo e così facendo cristallizza uno spazio perfetto: lo spazio in cui Maria Maddalena è sia sé stessa che la creatura persa nell’abbraccio. L’Angelico conosceva perfettamente le Scritture e così poteva permettersi sfumature pittoriche molto raffinate. Per esempio la punta delle dita di Maria Maddalena e del Cristo, dita che sono vicinissime ma che non si toccano. Possiamo solo immaginare che si sfiorino, perché è nella «carezza», come diceva il filosofo Jean-Luc Nancy, che sta la danza dell’amore, nello sfiorarsi senza pretendere di impossessarsi l’uno dell’altra. Tiziano prova un’interpretazione diversa: la mano della donna sembra quasi toccare la veste di Gesù, una scena dai toni più drammatici che si confacevano alla sensibilità laica e aristocratica del suo tempo. , in una foresta dell’animo dove la psicologia di colui che risorge e di colei che prova a trattenerlo spiccano con un senso nordico della poesia.

Leonardo da Vinci, disegno dell’androgino

Tutto comincia da lontano. Il mito fondativo dell’amore occidentale parte da un trauma, da un distacco. Ne parla Aristofane nel «Simposio» di Platone, introducendo il famoso discorso dell’androgino. Inizialmente, spiega Aristofane, non esistevano i due generi, ma c’era l’androgino, una creatura composta «dalla natura maschile e da quella femminile accomunate insieme». Si trattava però di esseri superbi e tracotanti, i quali vennero puniti da Zeus — come si sa, un dio molto insofferente all’altrui protervia — con una scissione irreparabile e dolorosa: il maschile venne separato dal femminile e le due parti condannate a inseguirsi in eterno con quel senso disperato dell’irraggiungibilità che la letteratura da secoli chiama amore. È da qui che nasce la ferita dell’abbandono, molto simile al lutto. Ed è qui che si coglie la bellezza limpida e matura del Noli me tangere, dello spazio bianco in cui l’altro è assenza e presenza assieme, non ci appartiene ma ci sta vicino e ci permette di contemplarlo come si contempla un enigma che non va decifrato.

È così che il «non toccarmi» ci svela la natura più intima del desiderio, che non è mai la sua piena realizzazione, pena la sua scomparsa. Il desiderio vive di approssimazioni e di fallimenti, di opacità e di non detti. Come scrive Roland Barthes in Frammenti di un discorso amoroso, «Non è vero che quanto più si ama, tanto più si capisce; ciò che l’azione amorosa ottiene da me è soltanto questa cognizione: nell’altro non c’è nulla da scoprire: la sua opacità non nasconde affatto un segreto, ma semmai una sorta di evidenza, nella quale si annulla il gioco dell’apparenza e dell’essere». Lo sapeva benissimo Charles Swann, nel suo esercizio disperato di gelosia nell’amare Odette de Crécy, enigmatica e sfuggente, opportunista e di grana grossa. Ma intelligente nel suo comprendere il gioco della seduzione, bravissima funambola del desiderio fino a quando non diventa Madame Swann. Charles infatti la sposa quando ormai non l’ama più.

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