MATTEO MARIOTTI: «HO PERSO LA GAMBA PER I MORSI DI UNO SQUALO, MA TORNO A FARE SURF PERCHé MI SENTO FORTE»

È in auto con il papà Michele, stanno raggiungendo la casa che hanno a Monchio delle Corti, sull’Appennino parmense. La loro sarà una Pasqua in famiglia, parenti, amici, anolini, culatello, lambrusco. «Come? Certo che sto guidando, la protesi non me l’impedisce. E poi l’auto ha il cambio automatico». Matteo Mariotti, ventuno anni, è allegro come sempre. Piglio assai sciolto, verve emiliana, lo scorso 9 dicembre in Australia perse una gamba, da sotto il ginocchio, portata via dal morso di uno squalo con il quale ebbe un drammatico corpo a corpo a un metro dalla riva.

La sua storia è diventata assai conosciuta da subito anche perché un istante dopo quella lotta furibonda, «convinto di non farcela», con calma glaciale postò un video sul suo profilo Instagram «perché volevo lasciare un saluto finale alla mia famiglia». Martedì, Matteo ha messo sui social un altro filmato. Mentre sui tornanti che s’inerpicano verso l’Appennino la conversazione va e viene, è lui stesso, allegria contagiosa, a definirlo «incredibile».

Poi racconta: «Nei giorni scorsi sono stato in Umbria a trovare un mio amico, lo stesso con il quale ho compiuto il mio viaggio in Australia. Martedì ci siamo concessi una gita al mare, a Tarquinia, sulla costa laziale, bei venti e belle onde, per tornare a praticare i nostri sport». Ovvero il kitesurf, dove si viene trascinati da una sorta di aquilone, e il wakesurf, in cui è un motoscafo a trainare il surfista. Il resto lo mostra quel filmato, diventato virale in rete. Prima di lanciarsi in acqua, degli amici riprendono Matteo mentre sistema la protesi con ingegno e fantasia. La impermeabilizza fasciandola con abbondante nastro adesivo. Infila gli scarponcini in gomma e, sempre sulla sabbia, testa l’attrezzatura con lo stesso scrupolo che avrebbe un surfista professionista. Salta, piroetta, fa il giro su stesso come manovrasse uno skateboard a rotelle.

Sempre a zompettoni, raggiunge la battigia. Stavolta non è il motoscafo a trainarlo in mare, «forse sarebbe stato davvero un po’ troppo», scherza il ventunenne. Sono gli amici che, imbracandosi addosso delle corde, si mettono a correre tirandosi dietro Matteo che con la tavola dribbla le onde. Ridono, scherzano. Quel corpo a corpo con lo squalo pare lontano. «Cammino da una decina di giorni grazie al mio protesista — spiega il ragazzo, seguito dagli specialisti del Rizzoli di Bologna —, un obiettivo che sembrava lontano anni luce e che invece è arrivato in un battito di ciglia. Ho una comitiva fantastica, mi incoraggiano, mi sostengono. Siamo tutti in sintonia, la vita è troppo bella e per questo vado a fare wake».

Prosegue battagliero: «Vorrei tornare lo sportivo di prima. Guardandomi allo specchio sento quest’obiettivo sempre più vicino, ho fisico, forza. Magari m’iscrivo a biologia marina». Cade la conversazione. In serata risponde papà Michele, gestore, a Parma, di un locale che serve piatti emiliani, «el Bajon». Matteo è andato «a dormire. Era un po’ stanco, in questi giorni si sta riassettando. Va bene così».

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