NORDIO CONTRO LO «SVUOTA CARCERI»: «SAREBBE UNA RESA DELLO STATO»

Oggi c’è stato un incontro straordinario all’università di Roma 3 (si può riascoltarlo per intero su Radio Radicale), organizzato da Riccardo Arena (Radio Carcere). Straordinario perché ha fatto incontrare per la prima volta le Camere penali (il presidente Francesco Petrelli) e l’Associazione nazionale magistrati ( Giuseppe Santalucia), per farli dialogare sul tema delle carceri, dell’insopportabile e dei (33 dall’inizio dell’anno, più 4 degli agenti di polizia). Il primo intervento è stato quello del ministro Carlo Nordio. Molto avaro di parole negli ultimi tempi, ha finalmente preso posizione sul carcere italiano, che rischia una nuova condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo. Di fronte al sovraffollamento, c’è un disegno di legge di Roberto Giachetti che prevede una liberazione anticipata speciale, l’aumento da una detrazione di 45 giorni per ogni semestre di condanna scontata a 60 (o a 75 giorni). Un modo per fare uscire prima chi è già a fine pena. Nordio dice no, con nettezza: « Una liberazione anticipata lineare può suonare come una resa dello Stato. Uno svuota carceri sarebbe un messaggio non educativo». Al contrario, dice Nordio, si sta pensando a un emendamento che consenta di sviluppare la sua idea «giuridico-etico-filosofica più che politica»: «Stiamo facendo una mappatura delle comunità e delle associazioni che potrebbero accogliere persone in via di esecuzione finale della pena e persone tossicodipendenti. Lì starebbero in una , imparerebbero un lavoro e sarebbero aiutati a trovarlo una volta liberi». Nordio poi ricorda che aveva avanzato la proposta di costruire nuove carceri: «Ma non siamo l'Arizona, dove si trovano moduli prefabbricati e in sei mesi. Abbiamo invece scoperto che ci sono molti padiglioni non utilizzati nelle carceri, che potremmo usare per lavoro e sport». La proposta non è stata accolta con entusiasmo dai partecipanti all’incontro. Il presidente dei magistrati Santalucia l’ha definita « un’idea vaga, generica. Ci sono queste associazioni? Forse da parte del ministro c'è un eccesso di ottimismo. E forse sarebbe meglio applicare invece le misure alternative». Ancora più netto il presidente delle Camere penali Petrelli: «Francamente mi pare che non colga l’evidente drammaticità della situazione. Nordio dice che liberare in anticipo dei detenuti sarebbe una resa dello Stato?? La verità è che il carcere viene usato dalla politica come discarica sociale, per nascondere sotto il tappeto il disagio e l’emarginazione. Bisogna superare la visione carcerocentrica». Giudizi analoghi dall’avvocato Fabio Lattanzi: « La soluzione del ministro mi pare evanescente, qualcosa che non porta da nessuna parte». Critico anche il docente di Diritto costituzionale Marco Ruotolo: «Mi pare che ci sia il rischio di una privatizzazione dell’esecuzione penale e questo mi fa un po' paura». Ma dell’incontro organizzato da Radio Carcere (presente anche Enrico Mentana) vale la pena citare anche le testimonianze di due direttori di carcere. Il primo è Giacinto Siciliano, che dirige San Vittore. Prima fa il punto dei numeri: «Nei tre istituti di Milano ci sono 4 mila detenuti. San Vittore si occupa degli arrestati. Siamo diventati come un grande centro di accoglienza, dove i detenuti rimangono qualche settimana e poi vanno via. A stamattina alle otto c’erano 1148 detenuti, dei quali 1068 uomini e sette madri con bambini. Il 70 per cento dei detenuti sono stranieri. Il 45 per cento ha meno di 30 anni. Gli ingressi sono molto aumentati: nel gennaio del 2023 erano 163 al giorno, nel marzo scorso, 278. Ci sono 250 detenuti in più rispetto a un anno fa. Dei 1148, 186 hanno una diagnosi psichiatrica accertata, 220 disturbi del comportamento. I tossicodipendenti sono 680». Fin qui i numeri, poi c’è il ragionamento: «Faccio il direttore da 30 anni e la differenza è enorme: prima gestivamo i criminali, ora persone in sofferenza. Non è più il carcere dei reati ma della marginalità. Molti arrivati in carcere vedono per la prima volta un medico, uno psicologo, un educatore. Ci sono decine di nazionalità, di culture, di comunità. Alcuni rifiutano il materasso, perché non ci hanno mai dormito. Se entrano 25 persone al giorno, come glielo fai il colloquio di primo ingresso? Se in sezione hai un agente ogni 100 detenuti, come li controlli? Il sovraffollamento crea litigi, riduce gli spazi per le attività». Claudia Clementi è la direttrice di Regina Coeli: «Il nostro carcere è un ex convento. Anche noi, come San Vittore, abbiamo molte comunità di stranieri. Ieri si è impiccato un detenuto cinese. Da poco abbiamo visto l’arrivo di persone da quell’area. Spesso non riusciamo a comunicare, non sappiamo come trattarli, non conosciamo le loro abitudini. Di notte abbiamo un agente ogni 250 detenuti. E il dieci per cento di questi ha diagnosi psichiatriche conclamate». Prima della tavola rotonda, i partecipanti hanno fatto una visita a Regina Coeli. «Un pugno nello stomaco», la definisce Petrelli. Riccardo Arena fa sentire tre testimonianze raccolte in vari istituti tra detenuti ed ex detenuti. Carcere di Udine: «Ci sono anche dodici persone in una cella. È pieno di scarafaggi. L’altro giorno ne ho preso uno con la forchetta, era nell’insalata». Sollicciano, Firenze: «Siamo in tre, con i letti a castello. Quando piove, ci piove dentro. Che si fa tutto il giorno? Si impazzisce». Monica, ex detenuta di Sassari, che non trattiene le lacrime: «Eravamo in quattro in una cella da due. O camminava una o camminava l’altra. Ci piove dentro. Non c’è niente, non si lavora. Ci sono donne con i bambini chiusi in cella. Sono uscita due mesi fa, dopo cinque anni di carcere. Ho ancora la testa là dentro. Non so più come fare. Scusatemi».

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