IL PAPA NON PARTECIPA ALLA VIA CRUCIS «PER CONSERVARE LA SALUTE PER LA MESSA DI PASQUA»

CITTÀ DEL VATICANO — «Viviamo un tempo spietato, e abbiamo bisogno di compassione». La notte intorno al Colosseo è rischiarata da migliaia di fiaccole e il Papa non c’è, ma ci sono le sue parole. La presenza di Francesco era prevista ancora nel tardo pomeriggio ma si sapeva che si sarebbe deciso all’ultimo momento e alla fine, come l’anno scorso, ha prevalso la prudenza: a Roma in questo periodo le serate sono ancora abbastanza fredde, l’aria intorno al Palatino è umida, non era il caso di restare seduto all’aperto. Così, «per conservare la salute in vista della Veglia di sabato e della Santa Messa della domenica di Pasqua», ha spiegato la Santa Sede, il pontefice è rimasto a seguire la Via Crucis da Casa Santa Marta. È molto raro che il pontefice scriva di persona i testi della Via Crucis, una tradizione iniziata nel 1750, conclusa con l’Unità d’Italia e infine ripresa da Paolo VI a partire dal 1964. Lo fece un paio di volte Giovanni Paolo II e una volta le scrisse anche Joseph Ratzinger, ma quand’era ancora cardinale e prefetto dell’ex Sant’Uffizio. Francesco lo ha voluto fare nell’Anno della preghiera che ha indetto alla vigilia del Giubileo del 2025, senza riferimenti diretti all’attualità ma con un approccio contemplativo che la riassume e riassume i dolori del mondo: «Gesù, tu sei la vita e sei condannato a morte; sei la verità e subisci un falso processo. Ma perché non reclami? Perché non alzi la voce e non spieghi le tue ragioni? Perché non confuti i dotti e i potenti come hai sempre fatto con successo? La tua reazione stupisce, Gesù: nel momento decisivo non parli, taci. Perché più il male è forte, più la tua risposta è radicale. E la tua risposta è il silenzio. Ma il tuo silenzio è fecondo: è preghiera, è mitezza, è perdono, è la via per redimere il male, per convertire ciò che soffri in un dono che offri».

Il male quotidiano, anche in Rete

Le stazioni della via Crucis scandiscono una riflessione sul male, anche quello quotidiano che si incontra in Rete: «Gesù, tanti seguono il barbaro spettacolo della tua esecuzione e, senza conoscerti e senza conoscere la verità, emettono giudizi e condanne, gettando su di te infamia e disprezzo. Accade anche oggi, Signore, e non serve nemmeno un macabro corteo: basta una tastiera per insultare e pubblicare sentenze». La riposta a tutto questo sta nell’atteggiamento delle donne nel racconto evangelico: «Chi ti segue fino alla fine lungo la via della croce? Non i potenti, che ti aspettano sul Calvario, non gli spettatori che stanno lontano, ma le persone semplici, grandi ai tuoi occhi e piccole a quelli del mondo. Sono le donne, a cui hai dato speranza: non hanno voce ma si fanno sentire. Aiutaci a riconoscere la grandezza delle donne, loro che a Pasqua sono state fedeli e vicine a te, ma che ancora oggi vengono scartate, subendo oltraggi e violenze».

I «cristi umiliati da guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri»

Al centro, come Francesco dice dall’inizio del suo pontificato, c’è il capitolo 25 del Vangelo di Matteo, le parole di Gesù sul Giudizio Universale e il comportamento che distinguerà i giusti dai dannati: «Ora capisco questa tua insistenza nell’immedesimarti coi bisognosi: tu sei stato carcerato; tu straniero, condotto fuori della città per esser crocifisso; tu sei nudo, spogliato delle vesti; tu, malato e ferito; tu, assetato sulla croce e affamato d’amore. Fa’ che ti veda nei sofferenti e che veda i sofferenti in te, perché tu sei lì, in chi è spogliato di dignità, nei cristi umiliati dalla prepotenza e dall’ingiustizia, da guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri nell’indifferenza generale».

Il supplizio, il perdono. «Gesù, ti trapassano braccia e gambe coi chiodi lacerandoti le carni e proprio ora, mentre il dolore fisico è più atroce, dalle tue labbra sgorga la preghiera impossibile: perdoni chi ti sta mettendo i chiodi nei polsi…Allora con te, Gesù, anch’io posso trovare il coraggio di scegliere il perdono, che libera il cuore e rilancia la vita. Signore, non ti basta perdonarci, ci giustifichi pure davanti al Padre: non sanno quello che fanno».

Il Papa al Colosseo, stasera

Per ora non ci sono modifiche al programma che prevede la presenza di Francesco, stasera, accanto all’Anfiteatro Flavio. L’anno scorso, appena uscito dall’ospedale dopo il ricovero per una polmonite, non ci andò. Si valuterà fino all’ultimo, a Roma le serate sono ancora fredde e l’aria al Palatino è umida, si tratta di vedere se è il caso che resti seduto all’aperto per due ore. Ma in fondo non è essenziale, la presenza di Francesco è già nelle sue parole: «Porto davanti a te, Signore, le famiglie e le persone che stasera hanno pregato dalle loro case, gli anziani, specialmente quelli soli, gli ammalati, gemme della Chiesa che uniscono le loro sofferenze alla tua. Gesù, questa preghiera di intercessione raggiunga le sorelle e i fratelli che in tante parti nel mondo soffrono persecuzioni a motivo del tuo nome; coloro che patiscono il dramma della guerra e quanti, attingendo forza in te, portano croci pesanti».

La «sofferenza insopportabile»

Il Papa nomina le tante situazioni di sofferenza insopportabile. «Gesù, portiamo anche noi delle croci, a volte molto pesanti: una malattia, un incidente, la morte di una persona cara, una delusione affettiva, un figlio che si è perso, il lavoro che manca, una ferita interiore che non guarisce, il fallimento di un progetto, l’ennesima attesa andata a vuoto… Gesù, come si fa a pregare lì». Il Papa prega per i «bimbi non nati e quelli abbandonati», i «tanti giovani in attesa di chi ascolti il loro grido di dolore», e ancora «gli anziani scartati», i detenuti, i «popoli sfruttati e dimenticati». La risposta, dice, sta nelle parole di Gesù nel Vangelo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». Prima di morire, il Crocifisso sospira: tutto è compiuto. «Io, nella mia incompiutezza, non potrò dirlo; ma confido in te, perché sei la mia speranza, la speranza della Chiesa e del mondo», conclude Francesco: «Custodisci la Chiesa e il mondo nella pace».

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