ARABIA SAUDITA, ARRIVA LA PRESIDENZA ALLA COMMISSIONE ONU SULLE DONNE E NON SI FERMANO LE POLEMICHE. (MA RIAD HA LA PRIMA MISS UNIVERSO)

Il genderwashing saudita non si ferma. Ora la «novità» è che per la prima volta il Regno sarà rappresentato al concorso di Miss Universo. Concorrente, Rumy al-Qahtani, modella saudita di 27 anni e influencer dei social media, prenderà parte al concorso di bellezza globale, che si svolgerà in Messico a settembre. Qahtani è una veterana dei concorsi di bellezza, ha un milione di follower. Oltre i social, ha vinto diversi concorsi da quando è stata incoronata Miss Arabia Saudita nel 2021, inclusi i titoli di Miss Medio Oriente e Miss Arab World Peace. Secondo la rivista femminile Laha, è nata a Riad ed è laureata in odontoiatria. Parla correntemente anche arabo, francese e inglese.

Da quando è stato nominato principe ereditario nel giugno 2017, Mohammed bin Salman ha lanciato diverse iniziative per promuovere l’uguaglianza di genere nel regno nell’ambito della Vision 2030, che mira a introdurre riforme sociali e culturali e la trasformazione digitale per modernizzare la società saudita e diversificare la sua produzione basata sul petrolio. Con un importante passo avanti per i diritti delle donne, nel giugno 2018 l’Arabia Saudita ha revocato il divieto imposto alle donne di guidare. Poi, nell’aprile 2018, alle donne è stato permesso di partecipare a un concerto, il primo evento misto di genere nel regno. Più tardi, nel 2019, il re saudita Salman bin Abdul-Aziz Al Saud ha firmato una legge che abroga il dovere per le donne di viaggiare accompagnate da un uomo e chiedere il permesso di farlo ai parenti maschi. Tuttavia, nonostante le apparenti riforme, i gruppi per i diritti continuano a denunciare discriminazioni e violazioni della parità di genere nel regno.

Altro tema che fa discutere è la decisione degli Stati membri dell’Onu di nominare l’Arabia Saudita guida del forum delle Nazioni Unite per i diritti delle donne. Ieri l’ambasciatore saudita presso le Nazioni Unite, Abdulaziz Alwasil, è stato eletto presidente della Commissione sullo status delle donne (CSW), per «acclamazione». Quando il presidente uscente, l’inviato filippino all’Onu, Antonio Manuel Lagdameo, ha chiesto ai 45 deputati se avessero obiezioni, in Aula è calato il silenzio «Non sento alcuna obiezione. È così deciso», ha detto Lagdameo. Normalmente un Paese mantiene la presidenza per due anni, ma le Filippine sono state messe sotto pressione da altri membri del gruppo asiatico affinché dividessero il loro mandato e trasferissero la carica a un altro paese dopo un anno. Ci si aspettava che il Bangladesh subentrasse. Poi però l’Arabia Saudita è intervenuta e ha fatto pressioni per ottenere la presidenza, sempre in linea con la sua politica di gender washing.

I gruppi per i diritti umani hanno subito sottolineato l’ironia che un Paese in cui il divario tra i diritti degli uomini e delle donne, anche sulla carta, è così ampio, guidi un organo sulla parità di genere. La legge saudita, nonostante le riforme del principe, prevede che una donna debba ottenere il permesso di un tutore maschio per sposarsi. E ancora: la moglie deve obbedire al marito in «maniera ragionevole», mentre il sostegno finanziario del coniuge maschio dipende dall’«obbedienza» della sposa. Anche il rifiuto di avere rapporti sessuali con il marito, di vivere nella casa coniugale o di viaggiare con lui senza una «scusa legittima» può giustificare la revoca del sostegno finanziario. Secondo Amnesty International la bozza del nuovo codice penale saudita «non riesce a proteggere le donne e le ragazze da ogni forma di violenza di genere».

«L’elezione dell’Arabia Saudita a presidente della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne mostra uno scioccante disprezzo per i diritti delle donne ovunque», ha tuonato Louis Charbonneau, direttore di Human Rights Watch (HRW).

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