DENUNCIA DELLE ONG ALL'ONU: 327 CASI DI SPARIZIONI FORZATE IN 2 ANNI

Sono 327 i casi di sparizioni forzate, oltre 78mila detenzioni arbitrarie e almeno 244 morti sotto la “custodia” dello Stato. È il risultato di due anni di stato di emergenza in El Salvador, il più piccolo Paese dell’America Latina. Sistematiche violazioni dei diritti umani documentate da sei organizzazioni non governative in un rapporto che il 9 maggio verrà presentato al Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate.

L’estado de excepción proclamato dal presidente Nayib Bukele nel marzo del 2022 doveva essere una misura temporanea per far fronte alla crescente violenza delle maras, le bande criminali, che, peraltro, come confermato dall’inchiesta del prestigioso giornale El Faro, sarebbe stata causata dalla rottura del patto segreto stretto dall’attuale governo con le gang per ridurre gli omicidi in cambio di benefici finanziari e garanzie di impunità. Da allora l’autoritario presidente “millenial” ripete con orgoglio che El Salvador «da essere il Paese più pericoloso del mondo si è trasformato in quello più sicuro del Continente». Se il “dictator mas cool” del mondo, come si è autodefinito Bukele, – da poco rieletto per un secondo mandato, nonostante sia vietato dalla Costituzione – è riuscito a ridurre drasticamente i tassi di omicidio, lo ha fatto barattando le libertà costituzionali del suo popolo. Da due anni sono sospese le garanzie di un giusto processo, così come i diritti di associazione e di riunione, l’inviolabilità della corrispondenza, il limite di 72 ore alla detenzione amministrativa, la presunzione di innocenza e il diritto alla difesa e all'assistenza legale.

Il pugno di ferro del “metodo Bukele” ha portato a detenzioni arbitrarie, soprattutto tra le comunità più povere, per un totale di 78mila arresti. «In gran parte, – documentano le organizzazioni –,si tratta di giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni accusati di essere affiliati alle pandillas». Un tatuaggio in alcuni casi può essere sufficiente per far scattare le manette e finire nel maxi-carcere da 40mila posti che il governo ha fatto costruire in tempi record. Le sei organizzazioni per i diritti umani hanno documentato che le autorità si rifiutano in modo sistematico di fornire informazioni sulle persone detenute. In alcuni casi si tratta di una pratica che mira a generare terrore e sottomissione nei familiari. In altri, «il rifiuto di fornire informazioni sui detenuti è dovuto al fatto che le autorità cercano di nascondere torture e condizioni inumane in cui sono tenuti in prigione», si legge nel rapporto.

Nel quadro delle sparizioni forzate, sono stati identificati tre modus operandi. In tutti i casi, gli arresti da parte di agenti dello Stato avvengono in luoghi pubblici e di fronte a testimoni, salvo poi essere negati. Solo settimane o, in alcuni casi, mesi dopo, a seguito dell'insistenza delle famiglie, avviene l’identificazione, ma le informazioni rilasciate sono comunque scarse. Nel secondo caso, non vengono proprio fornite informazioni. Nel terzo, si scopre che le persone detenute sono morte.

Come ricorda il rapporto, le stesse pratiche di sparizione venivano usate dagli agenti statali e dai gruppi paramilitari durante la guerra civile tra le forze armate governative e la guerriglia del Fronte Farabundo Martí de Liberación Nacional che dilaniò il Paese tra il 1980 e il 1992. Era una strategia di controllo sociale per silenziare le persone considerate oppositrici al regime.

2024-05-08T08:16:24Z dg43tfdfdgfd