IL PAESINO FRANCESE SI DIVIDE SULLA NUOVA MINIERA DI LITIO: «VOGLIONO USARLO PER I SUV»

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI — L’uscita dal petrolio, la transizione energetica, il rilancio industriale dell’Europa, la competizione globale con la Cina e la lotta al riscaldamento climatico, insomma il futuro del Pianeta passa (anche) per un paesino di 400 abitanti, Échassières, proprio nel centro della Francia.

Qui la grande azienda mineraria francese Imerys (13 mila 700 dipendenti in 57 Paesi), guidata dal 54enne manager monzese Alessandro Dazza, ha lanciato il progetto «Emili» per aprire nel 2028 una miniera di litio che potrebbe equipaggiare 700 mila auto elettriche l’anno. E qui, la settimana scorsa, è cominciato il dibattito pubblico con gli abitanti: gli obiettivi strategici di Parigi e Bruxelles fanno i conti con il parere di chi vive accanto a una miniera di caolino che esiste da fine Ottocento, e sotto alla quale è stato trovato un giacimento di «oro bianco» che potrebbe produrre 34 mila tonnellate di idrossido di litio all’anno.

Il dibattito è appena cominciato, ma per adesso il sostegno entusiasta del governo, il miliardo di investimenti e la futura creazione di circa 1.500 posti di lavoro (tra diretti e indotto) non bastano a ottenere l’adesione incondizionata degli abitanti, anzi.

Nella sala delle feste della vicina Moulins, una settimana fa, si è tenuta la prima riunione di una consultazione che durerà quattro mesi, e che esprimerà esigenze e pareri dei quali Imerys dovrà tenere conto. La rivista ecologista Reporterreriporta il dialogo emblematico tra un giovane abitante e un dirigente dell’azienda: «Dite che il litio servirà a lottare contro il riscaldamento climatico, ma poi finirà nelle batterie dei grossi Suv, il che è un controsenso. Potete impegnarvi a non usare questo litio per i Suv?». «Siamo un’impresa mineraria, estraiamo e forniamo il litio, non possiamo decidere come verrà usato». «Allora non parlateci di salvare il clima!». Il dialogo è complicato.

Da un lato ci sono alcuni abitanti di Échassières e l’associazione «Salviamo la foresta delle Colettes», che distribuisce volantini con lo slogan «litio no grazie». Dall’altro, la transizione globale dal petrolio verso nuove fonti di energia: quella elettrica deve essere accumulata nelle batterie, per le quali il litio è indispensabile.

Il litio potrebbe diventare il petrolio del futuro, tanto che i Paesi produttori Argentina, Cile e Bolivia, che con l’Australia e la Cina sono i più grandi fornitori al mondo, potrebbero costituire un cartello sul modello dell’Opec. Considerato l’obiettivo europeo di abbandonare le auto termiche entro il 2035, l’Europa punta a non dipendere completamente da quei Paesi per l’estrazione della materia prima, e vuole affrancarsi dal monopolio cinese per la produzione delle batterie.

Nel «triangolo del litio» formato da Argentina, Cile e Bolivia, la tecnica estrattiva per evaporazione si basa sull’uso di enormi quantità di acqua: gli ambientalisti di quei Paesi si mobilitano, inutile dire addio ai danni delle energie fossili per fare altri danni con le batterie elettriche. Ma proprio per questo il progetto «Emili» sembrerebbe vantaggioso: «L’estrazione avverrà sottoterra, sotto la miniera che già esiste, senza ricorrere alla tecnica dell’evaporazione — dice il ceo Alessandro Dazza —. Un po’ di acqua è necessaria per qualsiasi processo industriale, ma il suo uso sarà minimo, niente a che vedere con gli enormi stabilimenti sudamericani». Una miniera in parte già esistente, e che rispetta standard ambientali europei, sembrerebbe meglio. Ma per qualcuno, meglio niente.

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