ISRAELE-IRAN, COSì LA DIPLOMAZIA USA PROVA A EVITARE UNA RAPPRESAGLIA ARMATA

A Washington, ormai, hanno preso atto che Benjamin Netanyahu e il governo israeliano «decideranno da soli». Il portavoce della Casa Bianca, John Kirby, conferma l’impressione generale, cercando di mascherare la delusione di Joe Biden: «Il presidente non vuole un’escalation nel conflitto in Medio Oriente e sono fiducioso che Netanyahu, con cui ha parlato diverse volte, sia consapevole delle sue preoccupazioni». La risposta armata all’Iran, dunque, «è imminente», come scrivono i media americani citando fonti dell’Amministrazione . Si tratta di capire, e chiaramente non è poco, dove, come e quando colpiranno i missili di Tel Aviv. Biden ha subito detto al premier israeliano che gli americani non avrebbero partecipato ad alcun atto di rappresaglia.

Il leader statunitense, in definitiva, è d’accordo con gli iraniani: la «questione» andrebbe chiusa qui. Non sarà così, anche se le pressioni continueranno fino all’ultimo momento utile. Biden sta assemblando una coalizione per provare almeno a circoscrivere l’iniziativa, un’altra fuga in avanti, del governo israeliano. Il presidente Usa si muove su due versanti. Da una parte si coordina con gli alleati del G7,il gruppo dei Sette Paesi più industrializzati, quest’anno presieduto dall’Italia. Nel summit online di domenica scorsa, convocato da Giorgia Meloni, i Capi di Stato e di governo si sono ripromessi di convincere il premier israeliano a non rispondere agli iraniani con un altro blitz militare. Ieri sera il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro britannico Rishi Suniak avrebbero parlato ancora con Netanyahu. Tentativi andati a vuoto.

Ora americani ed europei offrono agli israeliani misure alternative a una rappresaglia armata. Già nel vertice di domenica si è esaminata la possibilità di applicare altre sanzioni all’Iran e di inserire la Guardia rivoluzionaria iraniana, i pasdaran, nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. Nel comunicato finale di domenica, però, non c’è traccia di queste ipotesi. Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ieri ha parlato di possibili «misure» contro Teheran. L’ipotesi delle sanzioni, quindi, è sul tavoloNel frattempo i canali di comunicazione, più o meno formali, con gli ayatollah restano aperti.

La Casa Bianca, poi, sta provando a stringere la collaborazione con i Paesi del Golfo, con l’obiettivo di isolare anche politicamente l’Iran. Nella notte tra sabato e domenica , la Giordania ha difeso il suo spazio aereo, contribuendo a intercettare le ondate di droni e di missili lanciati dalle basi in Iran, Siria, Yemen, Iraq. Tuttavia, fanno notare negli ambienti diplomatici, dalle capitali arabe, a cominciare dalla saudita Riad, sono arrivate dichiarazioni di «preoccupazione», non di condanna esplicita dei raid. Che cosa significa? L’interpretazione più diffusa è che siamo ancora lontani da una vera «coalizione di volenterosi», schierata in modo compatto contro Teheran. Ma a Biden e agli europei ciò può bastare. La cosa importante è che non si allarghi lo schieramento ostile a Tel Aviv.

Infine il terzo passaggio: a ppena terminato l’attacco iraniano, il Consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ha avviato un giro «esplorativo» di telefonate, contattando in particolare le controparti in Cina e in India. La diplomazia statunitense non ha abbandonato la speranza che Pechino e Nuova Delhi possano svolgere un ruolo concreto di mediazione. L’esperienza degli ultimi due anni è stata deludente. Americani ed europei hanno a lungo chiesto a Xi Jinping di premere su Vladimir Putin per fermare la guerra in Ucraina. Poi ci hanno provato con Narendra Modi. Risultati? Zero, a parte l’aumento dell’importazione di petrolio russo, a prezzi scontati, di cui hanno beneficiato sia la Cina che l’India. Biden, comunque, insiste, visto che Pechino ha favorito la normalizzazione dei rapporti tra Teheran e Riad e Nuova Delhi è un ottimo acquirente del greggio iraniano. Nello stesso tempo sia Cina che India coltivano scambi commerciali sempre più fiorenti con Israele. Un solo esempio: il governo di Modi compra circa il 40% delle armi esportate dagli israeliani.

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