LA RIVOLUZIONE VERDE STENTA, ALLE STELLE I GUADAGNI LEGATI AL PETROLIO

La rivoluzione verde di Biden? Per ora sembra essere nera, nera-petrolio. L’affondo viene dalla Reuters che ha mappato movimenti e guadagni legati al greggio durante i primi tre anni della presidenza Biden. Ebbene i grandi protagonisti (e beneficiari) a livello globali sono le compagnie petrolifere. “I profitti delle cinque principali compagnie petrolifere quotate in borsa – le britanniche BP e Shell, le americane Exxon e Chevron e la francese TotalEnergies – sono ammontati a 410 miliardi di dollari durante i primi tre anni dell’amministrazione Biden, un aumento del 100% rispetto ai primi tre anni del suo predecessore Donald Trump”. Si tratta, secondo l’agenzia, di un exploit senza precedenti che mostra “una verità scomoda sia per i sostenitori che per i detrattori” del presidente Usa in vista delle elezioni di novembre: “quello che accade nei mercati interconnessi a livello globale, come quello del petrolio e del gas, è spesso ben al di fuori del controllo immediato dell’inquilino della Casa Bianca”.

Consistente i riverberi sull’economia. “La crescita dell’occupazione nel settore dei combustibili fossili negli Stati Uniti ha superato di gran lunga quella nei settori delle energie rinnovabili che Biden ha promosso per combattere il cambiamento climatico”, complicando e allontanando decisamente la transizione verso l’economia green.

Secondo i dati compilati da BW Research, il numero di posti di lavoro negli Stati Uniti nel settore petrolio, gas e carbone è aumentato dell’11,3% durante i primi due anni di presidenza di Biden, superando la crescita dell’8,8% registrata nei posti di lavoro nell’energia solare ed eolica.

“Il presidente Biden – è la replica affidata a una nota della Casa Bianca - ha guidato e portato avanti l’agenda climatica più ambiziosa della storia, ripristinando la leadership climatica dell’America in patria e all’estero”.

La legge sul clima firmata da Biden (l’Inflation Reduction Act) – fa notare ancora la Reuters – “include miliardi di dollari in crediti d’imposta per aiutare a sostenere le industrie verdi, e sebbene quel pacchetto abbia già innescato un’ondata di nuovi annunci produttivi, il suo pieno impatto non si farà sentire per anni”.

Le imprese Usa gongolano. “La produzione petrolifera statunitense ha raggiunto livelli record sotto la presidenza Biden, continuando a superare i rivali Arabia Saudita e Russia. Gli Stati Uniti producono anche più gas naturale che mai, estraendo volumi record dai pozzi che si estendono dal Texas alla Pennsylvania. Di conseguenza, i porti americani stanno inviando volumi record di entrambi all’estero, compresi gli alleati in Europa che si stanno svincolando dalla Russia per le forniture energetiche”.

Si tratta di una crescita continua. Nel 2020, gli Stati Uniti sono diventati un esportatore netto di petrolio per la prima volta dal 1949. Nel 2022, le esportazioni totali sono ammontate a circa 9,52 milioni di barili al giorno e le importazioni a 8,33 milioni di barili/g. Un ulteriore balzo si è registrato nel 2023, quando le vendite di greggio statunitense hanno toccato la cifra record di 3,4 milioni di barili al giorno. E secondo l’Energy Information Administration (EIA), la produzione di greggio raggiungerà nuovi livelli record nei prossimi due anni.

Il rilancio della domanda globale, dopo lo stop legato alle politiche securitarie anti Covid e la guerra in Ucraina hanno modificato la geografia mondiale del petrolio. Gli Stati Uniti hanno sostituito la Russia come principale esportatore in Europa alla fine del 2022, rappresentando l’11% delle importazioni della Ue, rispetto al 9% nel 2021. Norvegia e l’Arabia Saudita seguono da vicino con quote rispettivamente del 10% e del 9% nel 2022. Prima dello scoppio della guerra, il 45% del gas e il 25% del petrolio della Ue provenivano dalla Russia.

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