LA SFIDA DI PUTIN TRA ROCK E «VOLONTARI»: «DONBASS E CRIMEA SONO TORNATE A CASA»

«È tutto bellissimo, è tutto eccezionale». I presentatori sono Ruslan Ostashko e Yulia Baranovskaya, volti celebri del Primo canale. «Un grande applauso per i dieci anni del nostro ricongiungimento con la Crimea e Sebastopoli!». Subito dopo, inneggiano ai risultati delle elezioni presidenziali, sottolineando il fatto che l’affluenza è stata «stupefacente», senza precedenti nella storia della nuova Russia.

Seguono canzoni e poesie patriottiche. Salgono sul palco i tre capi dello staff elettorale di Vladimir Putin. Il più applaudito è l’eroe della repubblica di Donetsk, il comandante del battaglione «Sparta», colonnello Artiom Zhoga, la stessa persona a cui lo scorso 8 dicembre scorso il presidente aveva annunciato l’intenzione di candidarsi per il quinto mandato. «Esistiamo, viviamo, siamo tornati a casa. E abbiamo fatto ancora una volta la nostra scelta a sostegno del Comandante in capo. Insieme, siamo uniti e invincibili». Le sue ultime parole fanno da introduzione a una canzone rock che ricorda la liberazione della Russia dai polacchi nel Seicento. I presentatori fanno una lunga digressione sui valori della famiglia e della memoria storica. Baranovskaya, già madre di tre figli, si fa prendere dall’entusiasmo e annuncia di voler partorire ancora e ancora, esortando le donne russe a «procreare quanti più esseri umani possibile».

Nel frattempo, una folla di giovani si è stancata di aspettare il proprio turno ai controlli, e abbandona la zona. Solo tra sabato e domenica è stato comunicato ai volontari il trasferimento dallo stadio Luzhniki alla meno capiente piazza Rossa del concerto dedicato ai dieci anni dell’annessione della Crimea. Gli studenti di varie università raccolti per la massovka (affluenza di massa) necessaria al tutto esaurito si sono ritrovati ieri mattina vicino alla metropolitana di Kitaj-gorod per ritirare il tesserino: l’età dei partecipanti non deve mai superare i cinquant’anni. Al momento di entrare, la maggior parte si è sentita dire che non c’era più bisogno di loro.

La presenza di Putin non è annunciata. Ma si capisce che sta per arrivare. Infatti, ecco il gruppo folk-rock «Liubè», il suo prediletto. Due brani sulle gesta eroiche dei soldati e sulla fedeltà alla patria. «Brindiamo alla vita, a quelli che c’erano e non ci sono più. Sia maledetta la guerra...». Il pubblico canta in coro. Sono le 19.18. Eccolo, accolto da una ovazione. Ad accompagnarlo sul palco sono i suoi temibili sfidanti, i cosiddetti pupazzi appena sconfitti alle elezioni. Menzione d’onore per il presunto liberale Vladislav Davankov, candidato contro la guerra per assenza di prove, sul quale sono convenuti parecchi voti dell’opposizione, anche quelli di parte del gruppo di Aleksei Navalny. Poche ore prima della diretta con la piazza Rossa, il Primo canale trasmette il suo colloquio al Cremlino con lo zar neo rieletto. Davankov fa gli auguri di buon lavoro, e poi invita il presidente a vincere «con ogni mezzo» la guerra in Ucraina.

Putin va di fretta, come sempre quando l’ambiente è sovraffollato. «La Crimea viene spesso definita come una portaerei inaffondabile. Proprio questo mi induce a dire che questa terra così amata è infine tornata nella baia natia. Ma la Crimea non è solo storia, territorio strategico, orgoglio della patria, Crimea è la sua gente, della quale siamo fieri, perché hanno avuto fede nella Patria, e non si sono mai rassegnati a essere divisi dalla Russia». Sembra un discorso da giorno di festa. Ma il Cremlino sa bene che passate le elezioni sarebbe tornata sul tavolo della diplomazia internazionale l’ipotesi del negoziato. Seppur ammantata dalla consueta retorica nazionalista, la frase che segue fissa in modo netto i paletti. «Quanto alla Novorossiya e al Donbass, anche le persone che abitano da quelle parti hanno dichiarato il desiderio di tornare nella nostra famiglia. La loro strada verso la Patria è stata più difficile e tragica, ma ce l’abbiamo fatta. Ora ci sviluppiamo e camminiamo insieme. Avanti con le nuove regioni, mano nella mano».

Il messaggio è chiaro. Le quattro province dell’Ucraina annesse alla Russia nel settembre del 2022 non saranno mai oggetto di una trattativa. Lo proibisce anche la Costituzione, con una modifica fatta votare nel referendum del giugno del 2020, quello che azzerava il numero di mandati del presidente. Già allora, il pacchetto e le intenzioni erano completi. «Tutto questo avviene grazie a voi, cittadini della Russia». Putin incassa in diretta le congratulazioni del patriarca Kirill, che loda il suo «instancabile lavoro per la patria». Poi concede la parola anche alle tre comparse elettorali. Ognuno di loro ringrazia «il nostro grande presidente». Suona l’inno nazionale. Il rito è compiuto. Come prima, più di prima.

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