OSCAR CAMPS E GLI AIUTI VIA MARE A GAZA: «L’ULTIMO MIGLIO IL PIù DURO, STRANO NON INCONTRARE CIVILI»

«La parte più difficile della missione? L’ultimo miglio». Oscar Camps, fondatore della ong catalana Proactiva Open Arms, è sbarcato da poche ore a Cipro. Camps ha condotte decine di operazioni in mare ma aprire un corridoio umanitario per Gaza ha richiesto un lavoro preparatorio di mesi. «Stiamo parlando di una rotta che era chiusa dal 2005: nessun aiuto era mai entrato a Gaza via mare e questo è un risultato storico», spiega per iscritto al Corriere della Sera. Altra anima dell’operazione Safeena (imbarcazione in arabo), lo chef José Andrés, patron della World Central Kitchen, ong statunitense che ha fornito le 200 tonnellate di cibo arrivate a Gaza venerdì notte.

Come è nata la collaborazione con José Andrés?

«Open Arms è un’organizzazione con una missione primaria, ovvero proteggere la vita delle persone e i loro diritti umani in mare. Abbiamo iniziato nel 2015 sull’isola di Lesbo dopo aver visto la fotografia del piccolo Aylan Kurdi annegato e lavoriamo nel Mediterraneo centrale chiedendo all’Europa di garantire corridoi umanitari sicuri. Lo chef José Andrés e la ong da lui diretta, WCK, stanno facendo uno sforzo impressionante per garantire cibo a Gaza, con pasti caldi, e hanno bisogno di forniture per rafforzare l’assistenza a terra. Avevamo già collaborato in Ucraina. Per questo ci hanno chiamato, per unire le forze. È stata una missione molto complessa, perché ha comportato non solo lo sforzo tecnico di Open Arms per risolvere i problemi di gestione del percorso, il meteo, ma ha anche richiesto un enorme sforzo diplomatico da parte di WCK per aprire porte che, per due decenni, erano rimaste chiuse».

Qual è stata la fase più difficile? Lo sbarco al molo?

«Poiché non esisteva un porto merci operativo, la parte più complessa era far sbarcare il cibo, “l’ultimo miglio” appunto. La soluzione è stata trovata con un progetto che ha previsto il trasporto su una piattaforma e la consegna a terra attraverso un frangiflutti temporaneo che WCK ha costruito riutilizzando le macerie».

Vi ha pesato il fatto di non poter incontrare i palestinesi beneficiari degli aiuti?

«Noi di Open Arms siamo abituati alla vicinanza, salviamo le persone dall’acqua. I nostri operatori sono l’ultima frontiera per i naufraghi, quella che separa la vita dalla morte. La sfida è stata proprio quella di riuscire a portare gli aiuti senza entrare in contatto con la popolazione, per ragioni di sicurezza. Per noi è stato complesso cambiare il paradigma, ma sapevamo che WCK sarebbe stata in grado di risolvere il problema sul campo. Noi in mare e loro nelle cucine, così ci siamo riusciti».

Questa formula può essere una valida alternativa agli aiuti via cielo?

«La popolazione di Gaza dipende dall’assistenza per soddisfare i propri bisogni primari, quindi qualsiasi via che possa essere aperta per trasportare il cibo è necessaria. Così come credo che i diritti umani debbano essere considerati nel loro insieme, dove tutti sono interconnessi e interdipendenti, credo che ogni aiuto sia indispensabile».

Quando avete iniziato a lavorare a “Safeena”?

«Era l’anno scorso. Il primo passaggio è stato riunire l’equipaggio per un viaggio ad alto rischio. Poi la preparazione della nave, superando gli ostacoli amministrativi che ci sono stati imposti in Italia e l’arrivo Cipro, dove è stato svolto un lavoro tecnico e diplomatico. Il 20 dicembre è stato raggiunto l’accordo tra il ministro degli Esteri israeliano e le autorità di Cipro».

Altre ong hanno criticato questa formula, sottolineando come sia prima necessario un cessate il fuoco: cosa rispondete?

«Rispettiamo molto il lavoro di tutti i nostri colleghi. Quando WCK ci ha chiamato, noi di Open Arms abbiamo pensato che avremmo potuto sostenere questa emergenza dal nostro campo, che è quello marittimo, anche se condividiamo chiaramente l’idea che l’unica soluzione efficace sia la pace e siano i governi a doverla perseguire».

Farete altre missioni come questa?

«Sì, finché possiamo e la sicurezza è garantita».

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