CENTO GIORNI AI "GIOCHI DI PACE"

La fiamma appena accesa a Olimpia brillerà fra 100 giorni, per i Giochi, nel più centrale e storico giardino parigino, davanti a miliardi di telespettatori. Ma nella Ville Lumière, dove a fine Ottocento fu riesumata la nobile tradizione olimpica, una domanda plana sul conto alla rovescia. Quanti vedranno in quella fiamma più d’una semplice fiamma? Insomma, i Giochi potranno nutrire una cultura di pace?

In teoria, la fiamma alle Tuileries simboleggerà pure un auspicio ardente di pace. Ma in mezzo ai tanti segni della «guerra mondiale a pezzi» che papa Francesco non si stanca di ricordare, quel desiderio pare a volte condannato a restare solo uno slogan.

In proposito, colpisce l’analisi di una studiosa credente parigina dell’Institut Catholique: «Siamo una specie affabulatrice. Eppure, manchiamo di un immaginario ricco della pace al plurale, nella mutevolezza, così come di metodi pratici per viverla. Restiamo dunque prigionieri di massime incomplete e riduttrici, del tipo homo homini lupus, o «il fine giustifica i mezzi», scrive Cécile Dubernet, che da decenni indaga come le società civili tentano di costruire la pace. Collettivamente, in effetti, abbiamo cercato più volte di accendere nuovi fiammiferi per sentire sulla pelle un tepore di pace.

A ridosso del Giubileo d’inizio millennio, l’Onu proclamò il decennio 20012010 per la «promozione di una cultura della non violenza e della pace al servizio dei bambini del mondo». Ma tutto si spense dopo il crollo delle Torri Gemelle. Nell’anno olimpico 2004, a una donna credente cresciuta nell’Africa martoriata da guerre, la keniota Wangari Maathai, fu conferito un Nobel per la Pace foriero di speranza. Perché quella carismatica militante ambientalista, dei diritti civili e della causa delle donne, seppe pure pensare la cultura di pace: i tre piedi di un futuro armonioso, ripeteva, riguardano la democrazia, le risorse ambientali, la cultura di pace. Eppure, è rimasta troppo inascoltata colei che veniva talora paragonata a Nelson Mandela. Il fiammifero non si è spento, ma la fiamma ha forse stentato a prendere. All’inizio di questo 2024 olimpico, invece, molto in sordina si è appreso della morte di un docente norvegese volenteroso e giramondo, Johan Galtung, che così tanto ha promosso gli studi sulla pace, ancor oggi sovrastati dalle ricerche nel solco opposto della ‘polemologia’. Un altro fiammifero in pericolo? In questa scia, come individui e cristiani, il rischio è ora di restare paralizzati dai dubbi pure verso il messaggio della fiamma olimpica. Ma a proposito di Parigi, vale la pena ricordarsi di due cose. Innanzitutto, che la rinascita dell’ideale olimpico fu anche molto cattolica, se si ripensa all’influenza, sul barone Pierre de Coubertin, dell’esempio e delle idee del suo amico domenicano Henri Didon, che coniò fra l’altro pure il motto olimpico Citius, altius, fortius (più veloce, più in alto, più forte). Converrebbe, poi, rileggere e meditare seriamente il discorso, su cultura e pace, che san Giovanni Paolo II pronunciò sempre a Parigi in un altro anno olimpico geopoliticamente ostico, il 1980 dei Giochi moscoviti, presso l’agenzia delle Nazioni Unite nata perché «è nello spirito degli uomini che si debbono innalzare le difese della pace». Durante quel primo viaggio francese da successore di Pietro, Karol Wojtyla lanciò all’Unesco parole rimaste come una sorta di ‘seconda costituzione’ morale di quell’istituzione, per ammissione di tanti suoi funzionari. Memorabili suonano pure due ‘terzine’ nella parte conclusiva: « Bisogna convincersi della priorità dell’etica sulla tecnica, del primato della persona sulle cose, della superiorità dello spirito sulla materia». E poco dopo: «Sì! L’avvenire dell’uomo dipende dalla cultura! Sì! La pace del mondo dipende dal primato dello spirito! Sì! L’avvenire pacifico dell’umanità dipende dall’amore!». In quella primavera preolimpica, Giovanni Paolo II esortò ad «aumentare gli sforzi delle coscienze umane nella misura della tensione fra il bene il male» dell’epoca. Parole agonistiche di un «atleta di Dio», per ‘saltare’ verso la Fiamma dello spirito. Parole che dovrebbero ancora ispirarci. Non sappiamo bene cosa susciterà, il 26 luglio, la fiamma olimpica. Ma quel giorno, proprio bello sarebbe veder brillare e volare il senso profondo delle parole agonistiche papali pronunciate 44 anni fa a Parigi. Un messaggio vibrante come un giavellotto lanciato verso il futuro. Per dar forza a ogni nuovo fiammifero di pace.

2024-04-17T07:11:47Z dg43tfdfdgfd