PREMIERATO IN AULA AL SENATO. SCHLEIN: «MANIFESTAZIONE IL 2 GIUGNO»

Un muro di emendamenti per arrestare la corsa della madre di tutte le riforme. Quasi tremila quelli presentati dalle opposizioni sul premierato di Giorgia Meloni, arrivato oggi in aula al Senato e spinto dalla volontà personale della premier di chiudere la partita il prima possibile. Non sarà facile, per la natura stessa della legge (costituzionale, a differenza dell'autonomia differenziata) e per la trincea che il centrosinistra è intenzionato a scavare dentro e fuori Palazzo Madama, con Elly Schlein che ha già annunciato una grande mobilitazione per il 2 giugno.

Il testo ha già passato il primo check point, con la bocciatura in tarda mattinata delle pregiudiziali di costituzionalità presentate dalle opposizioni. Questioni composte da «affermazioni apodittiche» secondo il senatore azzurro Maurizio Gasparri, che nel suo intervento ha rassicurato ancora una volta sulle prerogative del capo dello Stato («in gran parte preservate eccezion fatta per la possibilità di sciogliere a propria descrizione le Camere») ed è tornato sulla questione dei tempi di approvazione: «Raccontare al Paese che abbiamo una fretta spasmodica è falso: non siamo in anticipo di un paio di settimane, semmai in ritardo di 30 anni rispetto a una riforma materiale della Costituzione che l'elettorato ha già fatto». In ogni caso il provvedimento è per Fi «uno dei più importanti dell'intera legislatura», ha aggiunto, e «la legge elettorale sarà scritta dopo». Poi l'affondo contro i dem: «Schlein e compagni non rispettano nemmeno la festa della Repubblica del 2 giugno e vogliono, in quella data, fare una ulteriore manifestazione contro le riforme in discussione in Parlamento per modernizzare la Repubblica. Calpestano le date con un teppismo istituzionale degno di miglior causa».

Una risposta chiara alle invettive arrivate dalla leader democrat nel corso dell'assemblea straordinaria dei “suoi” senatori, durante la quale Schlein si è scagliata contro «il cinico baratto della maggioranza», che ridurrà il Quirinale a un semplice «notaio» grazie a un argomento «facile, furbo»: un «decidete voi» dietro cui si cela un «decido io per tutti e per cinque anni». Ancor più preoccupato è apparso Francesco Boccia, convinto che la riforma più cara a Giorgia Meloni decreterà «la fine della democrazia parlamentare». Mentre Ilaria Cucchi di Avs, ha arlato di un testo «pessimo e ambiguo».

Tra gli emendamenti va segnalato anche quello del governo, che in realtà è solo un drafting per rendere la norma più chiara sui casi di dimissioni del presidente del Consiglio. Una modifica che non convince Stefano Ceccanti e Peppino Calderisi, esponenti delle Associazioni che lunedì hanno proposto degli emendamenti al ddl Casellati. Questo perché non centra l'obiettivo «di parlamentarizzare l'eventuale crisi, prevedendo che le dimissioni siano presentate dal Presidente del Consiglio a conclusione di una informativa parlamentare, al fine di valutare se la crisi fosse superabile e quindi al fine di evitare l'alternativa tra consentire un nuovo incarico o sciogliere le Camere».

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